Personale di Nathalie Jacquounain
Sogni. Specchi. Enigmi.
L’arte di Nathalie Jacquounain
Artista visionaria, Nathalie Jacquounain riunisce nelle sue creazioni una vasta messe di riferimenti artistici. A risplendere nelle sue opere, in particolare, sono tre fondamentali correnti dell’arte novecentesca: cubismo, espressionismo e surrealismo.
La lezione del cubismo emerge soprattutto nella risoluzione geometrica delle forme spaziali e di taluni dettagli compositivi; la tradizione espressionista si mostra invece nell’intensità delle figure umane rappresentate, di cui è il lato emotivo, più che la mimesi descrittiva, a essere oggetto di studio; il magistero surrealista, infine, accresce d’intensità l’impalpabile clima onirico che pervade le tele.
Proprio i sogni sono, infatti, temi ricorrenti nell’immaginario dell’artista francese. Non tanto in qualità soggetti espliciti della figurazione, quanto come atmosfere, fondali emotivi, rutilanti sensazioni. I corpi delle figure rappresentate spesso appaiono catturati nell’atto di sognare – o, forse, sono loro stessi proiezioni di sogni? Pure, lo spettatore potrebbe pensare che, forse, le opere artistiche stesse non siano altro che epifanie oniriche. Fra arte e sogno, d’altronde, vi è un rapporto antico e profondo.
«I sogni sono tra le principali fonti di materiale simbolico. Fin dall’antichità furono oggetto di grande attenzione, e venivano distinti in sogni ordinari e sogni straordinari. Si credeva nell’esistenza di sogni premonitori, e in una vera e propria divinazione attraverso ai sogni, sia di fatti generali e lontani, che di fatti precisi e immediati».
Così narra Eduard Cirlot nel suo Dizionario dei simboli, rievocando un’arte del sogno che precede la psicanalisi moderna di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, e che proprio alla costruzione dell’immaginario di quest’ultima ha offerto numerosi spunti. Nell’arte di Jacquounain la dimensione vitale e simbolica dei sogni del mondo arcaico dialoga con la consapevolezza moderna degli abissi psichici della soggettività umana. I suoi sogni d’arte si configurano così come forme estetiche che affollano la realtà, in tutti i suoi molteplici piani. Il sognatore è il fulcro di questo paesaggio onirico. Sognare diventa così un gesto di paradossale riappropriazione della realtà, una ridefinizione più estesa della sua cartografia: in questa prospettiva, il visibile appare come uno solo fra i molti piani del reale, e lo stesso invisibile partecipa alla configurazione dei suoi itinerari sommersi.
Questa atmosfera umbratile, liminale, di soglia, è suggerita anche dall’uso degli specchi. Anch’essi appaiono su livelli numerosi e distinti: come temi espliciti (si vedano “Specchio”, in due diversi formati, e “Narciso”), come struttura dell’opera (la tela con cornici foggiate per apparire specchi), come generale suggestione estetica (tutti i tondi veicolano l’immaginario dello specchio, creando la sensazione che quanto rappresentato altro non sia che un riflesso della realtà). Lo specchio è un artefatto umano che da sempre, similmente al sogno, definisce geografie liminali: è uno strumento che riflette la realtà, denuda i fenomeni e, al contempo, li duplica, suscitando interrogativi sullo statuto ontologico del reale e sul suo rapporto con l’illusione.
Non è un caso che da questo manufatto siano stati tratti alcuni dei termini più rilevanti del linguaggio filosofico: speculare, riflettere… il ritorno a sé del pensiero dopo essersi soffermato sulle cose. Potremmo dunque asserire che l’immagine dello specchio sia, propriamente, metafora aurea della filosofia. Evoca, «con la vertiginosa fuga dell’autoreferenza, riassume, con la potenza che è propria dell’immagine, la ricorrente ambizione del pensiero filosofico per un sapere assoluto e senza resti, totalizzante e autofondato» (Andrea Tagliapietra, La metafora dello specchio. Lineamenti per una storia simbolica dell’immagine, 2023). L’arte, in questa cornice, è strutturalmente specchiante: rappresenta, soprattutto (ma non solo) nella sua versione figurativa, enti reali – ma sono queste, si chiede da sempre la filosofia, copie mimetiche della realtà o nuove creazioni, presentificazioni, persino incrementi di quello stesso reale?
La presente assenza evocata dallo specchio conduce alle soglie dell’enigma. A questa figura anch’essa chiaroscurale si richiamano numerosi particolari delle tele: i riferimenti a mondi misteriosi, a figure ibride e sfuggenti, i colori soffusi e avvolgenti. Mondi “altri” penetrano nelle tele, creano canali di dialogo e interrelazione fra l’espressività del nostro mondo e quella di un Altrove dai tratti onirici, grotteschi, persino mistici.
D’altronde, la natura enigmatica di ogni simbolo, già riconosciuta da Georg Wilhelm Friedrich Hegel, nella sua estetica, come emblematizzata dalla Sfinge egizia, è uno dei vettori fondamentali di qualsivoglia concezione profonda dell’arte. Si mantiene sino alle soglie dello stretto contemporaneo, se pensiamo che, fra gli altri, Paul Klee definì il proprio “pensare per immagini” (bildnerisches Denken) precisamente come un tentativo di manifestare l’enigma del reale tramite immagini pittoriche. «Videmus nunc per speculum et in aenigmate» scrive San Paolo nella prima lettera ai Corinzi: ma se questa vista confusa sarà superata, alla fine dei tempi, nella permanente visio beatifica, sul piano dell’esperienza storicamente situata sono proprio questi, lo specchio e l’enigma, gli strumenti mediante cui destreggiarsi nell’impresa conoscitiva. Oltre la banalità illusoria di una conoscenza piana, oggettiva, lineare.
Narciso è simbolo par excellence del trittico attorno a cui si dipana la mostra: la sua mito-biografia, e le interpretazioni che la filosofia e la letteratura gli hanno dedicato nei millenni, è colma di sogni, specchi, enigmi. La versione di Jacquounain, intarsio picassiano-surrealista, ne valorizza la perturbante natura: in essa si trovano sovrapposti il monito classico a rifiutare l’idolatria delle immagini, che, come nel caso di Narciso, possono condurre alla rovina, ma anche una non velata ammirazione per la loro forza trasfiguratrice e vivificante. Così, sintoniche all’opera risultano, a nostro avviso, le parole del filosofo italiano Massimo Donà, che nel suo saggio … o è dell’assoluto o non è. Notazioni sullo statuto dell’immagine (in «Engramma», 150, ottobre 2017) nota:
«Dove la vita vive nell’arte e come arte, l’arte si manifesta, sì, ma nello stesso tempo si nasconde (in quanto “distinta” dalla vita); e gli umani (lo sappiamo tutti, in quanto continuamente costretti a confrontarci con una produzione artistica sempre più difficilmente distinguibile dalle cose della vita), non potendo più utilizzare gli strumenti di comprensione e decifrazione utilizzabili in rapporto all’oggettualità e alla sua determinatezza (di cui le scienze, invece, abbondano), faticano a riconoscerla. Ma non tanto per la distanza da un Assoluto che solo in passato essa avrebbe saputo “imitare”, quanto perché (in modo evidentemente ‘paradossale’) le sue “immagini”, lungi dal limitarsi ad indicare l’Assoluto, lo sono. Cioè, lo manifestano in quanto tale in relazione a una vita che non è identificabile con nessuna di esse – per quanto in tutte la si possa riconoscere – senza peraltro mai distinguersi dalle medesime».
In questa cornice, il mondo può essere percepito come universo vivente, di cui i sogni sono tracce, depositi e segnavia. La sapienza onirica è anche questo: abbandonarsi all’enigma, senza pretendere di risolverlo.
Anche per questo possiamo immaginare, seguendo un’intuizione di Giorgio Agamben (Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, 2011), che nel mito di Edipo la giustizia stia dalla parte della Sfinge, che intende tutelare la potenza del simbolico sottraendone l’enigma essenziale al disvelamento, tutelandolo rispetto al gesto di appropriazione violenta di Edipo, e sovrapponendo significato e significante per salvaguardare il mistero.
– Luca Siniscalco
Informazioni sulla mostra
Vernissage: sabato 26 ottobre ore 18:00
Presentazione critica, rinfresco, ingresso libero
Orari di apertura al pubblico:
Lunedì – giovedì dalle 10:00 alle 12:30 e dalle 14:30 alle 16:30
Venerdì dalle 10:00 alle 14:30
Sabato e domenica chiuso
Direttore artistico: Davide Foschi
Curatore: Luca Siniscalco
Art Manager: Rosella Maspero

Quarantena
Acrilico su tela, cornice realizzata dall’artista, 83 x 83 cm – 2020/2021
Due figure umane si stagliano plasticamente su di uno sfondo urbano. Corpi senza volto, incarnano la solitudine di un destino non scelto né voluto. Il loro tempo è trascorso in una partita di scacchi. Fuori dalla finestra il paesaggio è sempre il medesimo, di giorno e di notte. Chi sono questi personaggi? Una coppia durante uno dei lockdown che ci ha tutti coinvolti nel periodo pandemico? Forse, aguzzando lo sguardo, riconosceremo proprio noi stessi in quei volti.

Donna con furetto
Acrilico su tela, cornice realizzata dall’artista, 128 x 140 cm – 2019/2022
Il classico motivo artistico della “donna con furetto” è qui ripreso in una versione contemporanea, realizzata su di una sedia veneziana. La composizione prospettica attrae lo sguardo degli spettatori sul centro dell’opera, vero e proprio fulcro attrattivo della tela.

Narciso
Acrilico su tela, 130 x 97 cm – 2017/2018
Un Narciso contemporaneo si contempla – non in una pozza d’acqua, come nell’iconica narrazione di Ovidio, bensì in uno specchio. La figura è attorniata da personaggi inquietanti, ibridi fra umano, animale e macchinico, che evocano un cosmo distopico. Il surrealismo di Nathalie Jacquounain trova qui una delle sue massime espressioni: il Narciso postmoderno rivela il peccato che condanna la nostra epoca dell’immagine, ma ricorda anche, mediante la forza dell’immaginazione creatrice, la capacità umana di ricercare senso, meraviglia e bellezza.

Specchio
Acrilico su tela, cornice realizzata dall’artista, 55 x 55 cm – 2020
Qui Narciso è isolato dalle ibride creature che lo attorniavano. L’artista focalizza il proprio sguardo sullo specchio: la conformazione dell’opera suggerisce che lo scorcio dipinto altro non sia che la duplicazione del gesto di Narciso, il quale, tuttavia, evoca nello specchio un ulteriore livello, un caotico conglomerato di forme. Specchi, sogni e illusioni si rincorrono in modo criptico.

All’ora di Satana
Acrilico su tela, cornice realizzata dall’artista, 55 x 55 cm – 2020
Nel folklore anglosassone, l’ora del diavolo è un periodo notturno associato a eventi soprannaturali di carattere demonico. Difatti, nella tradizione cristiana occidentale, l’ora tra le 3 e le 4 del mattino era ritenuta il periodo di massima attività del demonio. Ecco che un piccolo Satana appare – sogno o realtà ? – nell’esperienza dei due personaggi della tela. Un orrore che ha uno splendido antecedente storico ne “L’incubo”, capolavoro di Heinrich Füssli, nonché nell’elaborazione di molta cultura letteraria francese (si pensi a Jacques Cazotte e a Joris-Karl Huysmans).

Il sogno del Jardin du Luxembourg
Acrilico su tela, cornice realizzata dall’artista in plexiglass trasparente, 74 x 60 cm – 1982/2024
I celebri giardini parigini sono i protagonisti di questa visione dai tratti idillici e trasognati.

Tre come uno
Acrilico su tela, 66 x 51 cm – 2024
In quest’opera enigmatica tre figure umane paiono inseguirsi. È la ripetizione dell’archetipo, cui si accompagna una moltitudine di interrogativi: sono, gli uomini rappresentati, tre individui distinti o, al contrario, proiezioni della medesima persona? E ancora: siamo, noi individui “reali”, davvero unici, o semplici epifenomeni della stessa forma universale, quella di “uomo”?

Lago
Acrilico su tela, 51 x 41 cm – 2023
Il lago sulla terra si specchia nell’azzurro circolo del cielo. Gli uccelli, che vi ruotano vorticosamente, appaiono affini alle onde del lago. I moduli metamorfici della natura richiamano ad alcune celebri figure di M.C. Escher.

Duomo (cattedrale) – Serie “meta-ecologia”
Acrilico, argilla e intarsi di cartone architettonico su tela, 38 x 50 cm – 2022
La cattedrale rappresentata è una struttura organica, un’architettura naturale in cui l’artificialità del progetto umano si fonde con la natura. Per ripensare il nostro rapporto con l’ecologia, in senso olistico e visionario.

Segreto con silhouette
Acrilico e argilla su tela, 81 x 100 cm – 2015
La tela ospita figure misteriose. I colori creano sensazioni perturbanti: qualcosa di grave sta per succedere, ma dobbiamo ancora scoprire di che si tratta.

Venezia
Acrilico su tela, cornice realizzata dall’artista, 71 x 75 cm – 2019
l motivo barocco è qui immerso in un uso sapiente del colore verde. Sulla nostalgia e l’inquietudine prevalgono questa volta il lusso e lo sfarzo.

Ho avuto il coraggio di guardare indietro
Olio su tela, 130 x 97 cm – 2007
L’opera trae ispirazione da un poema di Apollinaire dedicato a Picasso (“Les Fiançailles”, nell’opera “Alcools”, del 1913): “ho avuto il coraggio di guardare indietro” afferma liricamente lo scrittore francese, e con lui Jacquounain, in una struggente evocazione del proprio passato. La donna in bicicletta è rapita da un ricordo; questo la insegue “da dietro” – dal “dietro” del bosco (spazialità) e dal “dietro” della sua biografia (temporalità), come uno specchio perturbante in cui ciascuno può scorgere la propria biografia, istoriata su una campitura onirica.

Lutetia
Acrilico e argilla su tela, 130 x 89 cm – 2017/2019
“Lutetia Parisiorum” era il nome latino con cui veniva designata una città della Gallia: la futura Parigi. L’opera, evocando rovine e modernità tecnologica, è una cartografia simbolica della capitale francese. La moto appare come un “messaggero del tempo”, capace di collegare passato e futuro.

Lutetia (versione ridotta)
Acrilico, argilla e frammenti di ceramica su tela, 73 x 54 cm – 2017/2019
Nella tela il mito parigino è ripreso in più piccolo formato. Qui la figura umana sembra svanire di fronte all’emergere degli altri particolari. Il “mosaico” ai bordi dell’opera allude a un edificio vicino alle Arènes de Lutèce, i più importanti resti dell’antica Roma a Parigi.

Stella del Diavolo
Acrilico e argilla dorata su tela, 55 x 55 cm – 2020/2021
Il tema dell’ibridazione uomo-natura è qui ripreso con un linguaggio artistico ironico e irriverente. La figura ispira empatia, ma anche il dubbio, considerato il titolo e la forma (evidente il richiamo al pentacolo), che l’apparenza inganni, e qualcosa di oscuro caratterizzi la creatura fitomorfa, ispirata a una foglia d’acero.